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I morti di Sa Janna Bassa

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 La versione che le guardie danno di quella notte, racconta di una pattuglia di ignari tutori dell’ordine colta di sorpresa dalle sentinelle del gruppo, Francesco Masala e Giovanni Mario Bitti, che aprono il fuoco non appena la vedono. La storia continua con la toccante immagine del capitano che, seppur “Gravemente ferito da una scarica di pallettoni” e “Malgrado il dolore lancinante […] rifiutava ogni soccorso e disponeva i suoi uomini in posizione tatticamente idonea a contrastare eventuali sortite”. Parole scelte con cura per giustificare una medaglia al valor militare concessa per un’azione che, a detta dei presenti non affiliati all’arma, ha dei risvolti ben più tragici e assomiglia quasi ad un regolamento di conti.

Perchè la vicenda che vivono gli otto superstiti, compagni di Francesco e Giovanni, parla di conflitto a fuoco che si conclude con la cattura di dieci persone, di cui due vengono falciate sul posto da una mitragliatrice, dopo un rapido interrogatorio.

E secondo i militari di conti con lo stato i due latitanti ne hanno diversi da saldare, tanto che vale la pena caricarne i cadaveri su una campagnola e sbandierarli per tutta la città come fossero un trofeo.

Giovanni, secondo quanto racconta il fratello, è fuggito dal carcere di Alghero pochi anni dopo essere stato accusato di un omicidio che non ha comesso, poichè si è rifiutato in precedenza di collaborare all’arresto di alcuni latitanti.

In un documento firmato da dieci imputati al processo contro Barbagia Rossa nel 1983, la strage di  Sa Janna Bassu assume il ruolo di spartiacque per i comportamenti dello stato italiano nei confronti della militanza nei gruppi antagonisti dell’isola. “Sa janna Bassa è fine ed inizio del progetto della borghesia sul territorio. Fine perchè sancisce un punto di non ritorno, oltre il fallimento delle illusioni pacificatrici affidate alle soluzioni economiche; inizio perchè a partire da quel momento lo stato articolerà tutta una serie di iniziative […] tese a scorporare e disperdere la solidarietà dell’habitat sociale entro cui l’antagonismo esprimeva le sue iniziative e la propria identità.”

 

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pubblicato il in Storia di Classedi redazioneTag correlati:

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