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Lo sciopero dei minatori britannici

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Dopo l’elezione di Margaret Thatcher nel 1979 in tutto il Regno Unito si andò accentuando la politica liberista volta alla distruzione dello stato sociale e alla liberalizzazione delle aziende di propietà dello stato.

La strategia delineata fu quella di intraprendere un vasto programma di chiusura di unità produttive in taluni settori, come la siderurgia, le ferrovie e il carbone, di privatizzare e intaccare il monopolio statale nei settori in espansione come le telecomunicazioni, e di stabilire un sistema misto pubblico-privato nella sanità, tra ospedali, municipalità e ditte private.

Uno dei primi obbiettivi del governo, dopo i lavoratori pubblici e i ferrovieri, fu l’industria del carbone, una delle più grosse d’Europa, e nel quale esisteva probabilmente il più combattivo e compatto sindacato inglese il National Union of Mineworkers.

A seguito della decisione dell’Ufficio Nazionale del Carbone di avviare un piano di ristrutturazione del settore che avrebbe portato alla chiusura di venti pozzi e al conseguente licenziamento di decine di migliaia di lavoratori,il 12 marzo 1984, iniziò lo sciopero.

Entro la fine di marzo la produzione di carbone nel Regno Rnito fu quasi totalmente ferma.

Un ruolo determinante in questa lotta lo giocarono i picchetti volanti, ai quali parteciparono molti giovani lavoratori che per la prima volta si trovano coinvolti in un conflitto sociale su scala nazionale.

Protagoniste durante tutta la durata dello sciopero furono le donne che non accettarono più il loro ruolo di subordinazione che le vedeva ad organizzare le attività di sostegno agli scioperanti ma anzi furono sempre in prima linea nelle assemblee, nei picchetti, nei cortei e negli scontri con la polizia.

Per fermare i picchetti il governo inviò circa diecimila polizzioti nei bacini carboniferi che si scatenarono in cariche feroci sui lavoratori. Una delle principali operazioni della polizia fu quella di intercettare i picchettatori per impedire che arrivino alle miniere.

L’azione dello stato non si limitò alla repressione poliziesca: multe e confische di beni colpirono le organizzazioni sindacali che organizzarono o appoggiarono i picchetti in altre regioni, addirittura il NUM ricevette una multa di 200 mila sterline per aver organizzato i picchetti e quando il sindacato si rifiutò di pagarla tutti i suoi fondi vennero sequestrati dal tribunale di Londra.

Contemporaneamente ai minatori sciesero in sciopero i ferrovieri e i portuali per evitare che il carbone venisse importato dall’estero e per dimostrare il loro sostegno ai minatori. Così facendo riuscirono a portare all’esaurimento la maggior parte delle scorte di carbone e a costringere allo stop la produzione in altri settori chiave dell’economia britannica, come le acciaierie.

La reazione del Governo fu durissima: vennero intensificati i processi, le cariche ai cortei dei lavoratori e per disperdere i picchetti, si iniziò ad intaccare gli stessi diritti sindacali con alcuni tribunali che dichiaravano illegali gli scioperi.

Il 1 ottobre 1984 il segretario del NUM viene citato in giudizio per aver difeso la pratica dei picchetti e aver contraddetto pubblicamente un tribunale che aveva dichiarato illegale lo sciopero nello Yorkshire.

I parlamentari laburisti si dissociarono dalle pratiche messe in campo dai lavoratori in lotta arrivando fino a condannare lo sciopero che stava proseguendo da mesi; di fatto associandosi alla campagna diffamatoria messa in campo dal governo e dai giornali borghesi contro l’intera categoria.

Questa campagna unita alla dura repressione (due lavoratori uccisi dalla polizia; 710 licenziati, circa 10.000 delegati e militanti di base arrestati e in attesa di processo) e all’azione legale da parte del governo contro il NUM portò una strettissima maggioranza del congresso del sindacato a decretare la fine dello sciopero il 3 marzo 1985 che comunque, soprattutto in Scozia e nel Kent, durò ancora diversi giorni.

 

 

 

 

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