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Un’esperienza nelle carceri cinesi

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Riceviamo e pubblichiamo questa testimonianza di un compagno, ospite temporaneo degli istituti di pena cinesi. Non si tratta di gridare alla “mancanza di democrazia” di cui sarebbero soli responsabili i secondini cinesi o invocare presunte “garanzie occidentali” (il livello di violenza delle nostre carceri è ben noto, per non parlare di quelle USA), quanto di constatare come, sotto diversi cieli, la fisionomia dei carcerieri sia banalmente simile.

Mercoledì 11 luglio, a causa di un diverbio nel quale è stata coinvolta la polizia, sono stato accusato di lesioni e portato nella locale stazione di pubblica sicurezza, nel quartiere LongHua in Shenzhen. In Cina, la polizia inizialmente cerca una mediazione tra le parti coinvolte, ma la richiesta di 100000 rmb (1500€ circa) come risarcimento è stata da me rifiutata. Sono, quindi, stato trattenuto inizialmente una notte durante lo svolgimento delle indagini che qui si svolgono entro 24 ore. Il mattino successivo, giovedì 12 luglio, sono stato interrogato e condannato a 5 giorni in un centro detentivo, più una multa di 500 rmb (circa 60€). I 5 giorni si sono trasformati in 10, in seguito alla mia reazione, più 200 rmb (25€ circa) di multa. La sera del 12 luglio sono stato portato all’ospedale per i consueti controlli a cui i detenuti sono sottoposti in questo paese e, una volta terminati, sono stato trasportato nel centro di detenzione; ma, a causa di un problema/errore con le analisi del sangue, non sono stato lì ammesso e ho dovuto spendere la seconda notte nelle cellette della polizia. Il mattino di venerdì 13, una volta rifatti i controlli, mi portano nel centro detentivo e vengo sistemato in una cella con altri 20/25 detenuti stranieri: 2 nigeriani, 3 mongoli e il resto diviso tra Myanmar e Vietnam. Al mio arrivo vedo uno dei due nigeriani legato alla sedia di costrizione: la notte prima stava dormendo in boxer e deve essere stato, per questo, ripreso tramite interfono (nei centri di detenzione cinesi la sorveglianza è continua e totale) ma, non sapendo il cinese, non ha capito il problema; è stato, quindi, trascinato fuori, legato alla sedia di costrizione e picchiato da 5/6 agenti, per poi essere trasportato con la sedia nuovamente nella cella dove è rimasto in quelle condizioni per 16/17 ore.

La routine quotidiana si svolge così: la sveglia è alle 7, la prima conta è alle 7:20 circa, la colazione è alle 8, il pranzo alle 11, dalle 12 alle 14 c’è il riposo, alle 16:30 servono la cena, verso le 18 accendono la televisione (canale unico e solo in cinese) e bisogna essere a “letto” alle 21:30. Le condizioni igieniche non sono buone: la cella è infestata da blatte e insetti, sono stati avvistati topi fuori dalle sbarre; i pasti che servono sono a base di uova e tofu o maiale e cavolo, più riso e qualche volta pane (secco e sovente ammuffito) con semi di cumino, il cibo è sempre lo stesso 6 giorni su 7 e fa schifo. Non è permesso uscire dalla cella, c’è un balconcino che viene aperto un paio d’ore al giorno, offrendo uno svago minimo. I letti sono in realtà tavoli di metallo, non ci sono cuscini nè materassi, vengono fornite lenzuola e divise dall’odore di muffa e il sapone che passano, spesso, provoca infezioni cutanee. La doccia è situata a fianco della turca ma in realtà è un rubinetto, ad altezza un metro circa, dal quale si riempe un secchio con acqua non tanto pulita ma unicamente fredda e ci si lava tramite una sorta di bacinella.

Tutti i detenuti son obbligati alla pulizia e sorveglianza delle celle: una squadra pulisce la stanza a fondo al mattino e un’altra dopo cena; a turno durante il periodo di riposo, per un’ora e a coppie, i prigionieri devono stare svegli e controllare che tutto vada bene, questo rende ancora più arduo il dormire: è difficile, infatti, continuare il sonno dopo averlo spezzato per la sorveglianza e anche perchè le luci non vengono mai spente.[Continuo con la mia esperienza dicendo che ho scelto di protestare tramite sciopero della fame fino a che non mi avessero permesso di telefonare a mia moglie. Il lunedì 16, al mattino, quello che credo sia il funzionario più alto in grado (distintivo n. 051544) mi ha garantito che avrei potuto chiamarla, ma così non è stato e quindi, per ottenere i diritti che loro garantiscono, ho dovuto portare la protesta su un altro livello. Mi vengono, quindi, a prendere e mi avvertono che, continuando così, mi avrebbero punito. Ritorno in cella e continuo lo sciopero della fame fino al giorno dopo, martedì 17, quando son riuscito a contattare telefonicamente mia moglie, dicendole di venire il giorno dopo, mercoledì 18, quando le visite famigliari sono consentite. Mercoledì 18 luglio, mia moglie è venuta ma non è stata fatta passare al cancello, quindi, per protesta, ho gettato la cena dallo spioncino. Come da aspettative, mi son venuti nuovamente a prendere, mi hanno dato un ulteriore avvertimento che non ho ascoltato, sono stato, conseguentemente, spostato nella cella di soli cinesi e legato alla sedia di costrizione, dove rimango per un paio d’ore.

Il mattino successivo, giovedì 18, il funzionario (distintivo n. 051544), parlando all’interfono, ha stravolto ciò che era successo il giorno prima, dicendo che era la mia fidanzata (e non mia moglie), che è venuta, io avrei rifiutato di vederla ma poi ho cambiato idea; non ho accettato quella versione falsa della realtà e, per la mia reazione, son stato portato fuori ma stavolta c’era anche un agente di infimo livello (distintivo 012697) che, dopo essere stato legato alla stessa sedia e per mezzo di guanti elettrici, mi ha dato 4/5 scosse. Son rimasto nella sedia 5 ore circa, fino a quando il funzionario (distintivo n. 051544) ha dato l’ordine di rilasciarmi e ha contattato mia moglie, organizzando un incontro straordinario per il giorno seguente. Venerdì 19, al mattino, il funzionario (distintivo n. 051544), tramite interfono, ha dato finalmente la reale versione dei fatti, dicendo che un detenuto italiano, al quale mancava tanto la moglie, ha protestato e loro hanno dovuto usare la sedia di costrizione. Soddisfatto di aver ascoltato finalmente la verità e per aver incontrato mia moglie, fino al mio rilascio, il lunedì 23, non ci sono stati ulteriori problemi e ho passato il tempo tra flessioni, carte e televisione, come hanno fatto e, tuttora staranno facendo tutti, gli altri detenuti.]Voglio chiarire che il posto dove ho passato 10 giorni non è una prigione ma un centro detentivo per chi commette piccoli reati e per coloro che hanno avuto problemi legati al passaporto o visto, quindi la maggior parte dei detenuti è rinchiuso lì in attesa di essere deportato. Dei due nigeriani, uno ha il passaporto e visto scaduti da 7 anni, l’altro è arrivato in Cina come richiedente asilo, poi ha cambiato idea ed è stato detenuto in attesa di essere deportato. I 3 mongoli son stati arrestati tutti per piccoli furti: di vino, di vestiti e di soldi incustoditi. Il resto dei detenuti non parlava inglese, nè un buon cinese e non ho capito bene i motivi del loro arresto, se non che fosse relativo al visto. I due nigeriani sono dentro da oltre 6 e 7 mesi, mentre i tre mongoli da oltre 8, 6, 5 mesi. Il martedì 17, ci hanno fatto vedere un film in un salone, insieme a tutti gli altri detenuti, ho conosciuto, quindi, un nero del Ruanda che era stato 5 mesi in Italia e uno del Senegal, entrambi detenuti per motivi di visto. In quella grande sala, ero l’unico caucasico, oltre me ci saranno stati una decina di neri, alcuni indiani o nepalesi (riconosciuti per via dello speciale accento inglese), la maggioranza dei prigionieri stranieri arrivano dal sud-est asiatico, ma, tutti i reclusi stranieri provengono da paesi più poveri rispetto alla Cina e/o da nazioni democraticamente instabili. Tutti, tranne me… Le ambasciate dei loro paesi se ne fregano delle loro sorti e, in qualche caso, non si sono nemmeno messi in contatto con le famiglie dei detenuti, le quali non sanno che è successo ai loro famigliari, mentre la divisione immigrazione della polizia cinese posticipa di continuo la deportazione dei detenuti: a molti è stato detto che avrebbero scontato un tot di tempo che si è esteso, ogni giorno, sempre di più, a discrezione delle autorità locali.

Questo si spiega con il fatto che la Cina è un paese razzista e xenofobo, in particolar modo a sfavore dei neri (ad esempio lo show andato in onda per il capodanno cinese, dove han equiparato i neri alle scimmie) che spaventano spesso i locali i quali possono arrivare a cambiare strada; per i cinesi, grazie a Hollywood, nero=criminale. La recente ondata xenofoba che è sorta nella terra di mezzo, però, coinvolge gli stranieri come categoria e colpisce quelli che provengono da paesi più poveri rispetto all’impero celeste o coloro la cui pelle ha una tonalità più scura del bianco.
Un paio di mesi prima della mia detenzione, mi è stato detto che c’era un detenuto algerino di 50 anni circa al quale è stata, continuamente posticipata la deportazione, al punto che la sua mente non ha retto e, dopo aver incastrato la testa nello spazio di passaggio del cibo, ha tentato di pugnalarsi al collo con una penna attraverso le sbarre. È stato bloccato da uno dei due nigeriani che ho conosciuto, è stato trascinato via dagli agenti mentre ancora sanguinante, in quanto lo spazio è più piccolo della testa di un uomo adulto ed è stato picchiato al punto che una parte della tibia gli è rimasta esposta. Gli è stato negato un medico ed è stato deportato due giorni dopo il fatto. Questo è il trattamento riservato a chi ha la “colpa” di avere una tonalità di pelle non accettata dalle autorità cinesi, da caucasico son stato fortunato, eppure, pensando ai poveracci cinesi e stranieri ancora rinchiusi, non riesco a gustare la gioia di essere nuovamente un uomo libero. Vi prego, quindi, di far circolare la mia storia e ciò che ho visto, con il fine che, un giorno, posti e agenti carcerari cinesi del genere, siano solo un ricordo nelle pagine di storia più cupa. E spero che quel momento possa arrivare presto.

 

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