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Minniti teme i migranti, cancella gli impegni negli USA e riatterra a Roma

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Minniti ama l’azione, tra servizi segreti e riflettori si trova a suo agio. Ieri, addirittura, sembrava voler rinnovare un capitolo della saga cinematografica Airport. Sul volo di Stato diretto negli Stati Uniti, informato telefonicamente dei recenti sbarchi di migranti sulle coste italiane e delle proteste nei centri di accoglienza di tutto il paese, ha dato l’ordine di invertire la rotta e tornare a Roma per incontrare Gentiloni (…chi?) annullando gli impegni istituzionali oltreoceano. “Prendo in mano io la situazione”. Sarà per questo che piace ai cronisti di palazzo Minniti, per quel po’ di pepe che mette nella soap della politica nostrana. Sarà così, sarà che in fin dei conti, resta un… commediante.

La realtà dei fatti è ben più cruda. Le cifre parlano di 10 mila salvataggi nelle acque del Mediterraneo centrale. Viene annunciato l’allarme rosso in ragione sia dell’aumento delle tratte verso le coste italiane sia dei tentativi, dentro i confini del paese, di superare l’Italia, ostacolo sempre più grosso nelle rotte dei migranti che dal Mediterraneo approdano dalle nostre parti. La ricetta Minniti – sicurezza ai confini e messa a lavoro nell’internamento per chi arriva – sembra non funzionare. La Libia non contiene i flussi, nonostante la presenza nelle acque libiche delle forze armate italiane e di uomini in territorio libiche addetti alla formazione delle guardie di frontiera nella linea di confine tra Ciad e Niger. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli sbarchi. Le proporzioni del fenomeno d’altra parte lo rendono difficilmente arginabile e ancora una volta non resta che la propaganda: l’esecutivo insegue il trend facendo la voce grossa. “Basta sbarchi” così il l’aereo di Minniti torna indietro per cercare in Europa la cooperazione di polizia di frontiera con Spagna, Francia, Malta. “Fortificare la fortezza”.

Le migliaia di vite che attraversano il Mediterraneo diventano l’ultima carta utile da giocare per qualsiasi politicante in crisi. Anche Renzi, dilaniato dalla farsesca frammentazione del suo partito, si lancia nell’agone: “questi numeri non sono più sostenibili”. Chi denuncia l’ovvietà non può che farsi dare ragione. Sta tutto lì infatti, nell’insostenibilità del meccanismo dell’accoglienza, per chi lo amministra e per chi lo subisce. L’aumentare delle proteste nei diversi centri e negli snodi delle tratte ne è l’indizio più chiaro e anche quello che può orientare la crisi dell’emergenza migranti verso un conflitto trasformativo interpretato dentro e contro il rapporto di accoglienza dagli stessi soggetti che vi si trovano imbrigliati: i tentativi di valicare in massa il confine con la Francia a Ventimiglia e la resistenza alle identificazioni dopo lo sgombero del fiume Roja, i blocchi dell’autostrada contro le condizioni di vita al CARA di Mineo, le proteste più svariate nelle miriadi di centri di accoglienza sparsi in tutto il territorio. La crisi istituzionale del sistema dell’accoglienza agita dall’alto, nell’indisponibilità ad esempio di numerose amministrazioni ad accogliere nuove e altre “quote”, si accompagna all’indisponibilità ad accettare di stare a questo meccanismo per chi lo vive: indisponibilità a subire ancora condizioni imposte, ad aspettare, a venir trattenuti, alla messa a lavoro gratuita e volontaria. Salta un terreno della mediazione che fino ad ora aveva comunque celato, dietro l’ipocrisia dell’umanitarismo, il profumato affare delle vite umane. Minniti cerca soluzioni dall’alto, un nuovo management, nuovi piani di accoglienza. In basso, si lotta contro l’accoglienza.
Il Ministro è di nuovo sul suo aereo, diretto a Bruxelles, ma la situazione può precipitare.

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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