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Le amnesie di Minniti sulle fucilate non-violente

Il nostro vorrebbe anche trasformare il senso delle parole affermando che “sicurezza” è una parola di sinistra e che le politiche omicide che sta conducendo sui migranti sono quasi allo strenuo di un internazionalismo di altri tempi. Ieri un’internazionalismo dei popoli, oggi una cooperazione internazionale contro i popoli che scappano dalle guerre. In effetti ci sono dei tratti malinconici nel suo modo di fare politica: la fissa per i servizi segreti e l’intelligence sembrano proprio rifarsi ad un’antica tentazione frustrata del PCI. Come detenere a pieno titolo il centro delle istituzioni: una volta per costruire la transizione allo stato socialista, oggi per poter fare i propri interessi e quelli della parte di borghesia compiacente. Minniti però evidentemente è selettivo nella scelta delle memorie e degli antichi metodi. Infatti rimuove molte vicende del suo passato meridionale. Senza andare troppo indietro nel tempo, ci tocca però ricordargli un evento storico che sconvolse completamente la sua città e che ancora oggi lascia una lunga ombra: sarebbe infatti il caso che il ministro andasse a rileggersi ciò che è accaduto durante i moti di Reggio del 1969. Già in quell’occasione il più grande partito comunista d’occidente (oggi la più grande famiglia riformista europea) derubricò a fenomeni campanilisti le richieste del popolo regino. Dietro lo slogan di “Reggio capoluogo” si nascondevano infatti rivendicazioni di un popolo per il miglioramento delle condizioni di vita.Il PCI si schierò contro la mobilitazione, lasciando così campo libero ai fascisti di Ciccio Franco che in poco tempo egemonizzarono i moti. Fu una stagione terribile e difficile per i compagni di Reggio. Molti furono gli attacchi dei fascisti, culminati con la morte dei quattro anarchici della Baracca. Tra questi attacchi ve ne fu uno alla sede centrale del PCI della città. In quell’occasione quello che poi diventerà negli anni novanta il sindaco Falcomatà, padre dell’attuale sindaco (una figura decisamente di minore spessore), difese strenuamente la sezione fucile alla mano aprendo il fuoco sui fascisti.

Ora, sebbene siano da fare le dovute distinzioni, questa vicenda dovrebbe far riflettere il signor ministro su due punti importanti: in primo luogo l’uso politico della violenza è un fatto connaturato alla politica stessa (almeno dentro un sistema come quello capitalista). Ma questo il ministro lo sa bene quando esercita la violenza di Stato contro le famiglie che occupano casa o contro i migranti che provano ad attraversare il mediterraneo, quando applica il Daspo urbano o quando, come in questo caso, si tratta di imporre manu militari una visita non gradita ad un’intera città, in nome della “libertà d’espressione”. E lo sa anche Salvini che non fa altro che rivendicare l’autodifesa e festeggiare quando viene affondato qualche barcone di disperati. Ci chiediamo quindi se quelle di Falcomatà il ministro le vede come fucilate non-violente o se i partigiani e i briganti per Minniti riempirono le loro armi con polvere di stelle quando fu il momento di resistere. In secondo luogo a ben pensare se il PCI allora avesse ascoltato le volontà dei proletari reggini e si fosse messo alla testa di quella lotta, forse quelle pagine nere non sarebbero mai state scritte. Se qualcuno si fosse messo in mezzo alla storia, come ieri a Napoli hanno fatto migliaia e migliaia di orgogliosi giovani, probabilmente ricorderemmo in maniera diversa, noi che non dimentichiamo, quelle circostanze. Per fortuna ieri a Napoli qualcuno ha deciso di mettere testa e cuore nell’impedire ad un razzista e xenofobo di fare la sua passerella nel tanto odiato meridione e magari un domani saremo più liberi anche grazie a loro.

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